Riserva Naturale del Monte Orsario: campo solcato alterato per ricavarne uno stagno |
di Furio Finocchiaro
Dipartimento di Matematica e Geoscienze, Università di Trieste
La lettura del materiale che
costituirà la base del piano di gestione del Carso è, per un geologo, motivo di
tristezza. Non è una sorpresa, ma solamente la conferma che la protezione della
natura, in Italia, è impostata solo ed esclusivamente
sulla difesa del biodiversità.
Geologia, idrogeologia, le
forme del paesaggio che raccontano l’interazione, nei tempi geologici tra forze
endogene e processi esogeni sono sullo sfondo. Rappresentano certo un substrato
che condiziona, insime al microclima e all’azione antropica, lo sviluppo delle
diverse associazioni vegetali e delle specie animale che popolano il territorio
ed in questa ottica vanno difese. Ma non hanno valore proprio. E questi principi vengono applicati anche sul
Carso triestino, anche su un territorio che deve la sua fama mondiale ai processi carsici ed alle
morfologie che ne derivano, anzi, è il luogo simbolo dove il carsismo è nato,
il luogo che da il nome a tutti i Carsi del mondo. E se studiosi americani, russi,
cinesi, vengono a vedere il Carso triestino, non vengono certamente a vedere la
flora dell’altopiano, vengono a vedere grotte, doline, campi solcati, kamenitze
(vaschette di corrosione) !
Certo che a Trieste siamo stati
antesignani. Questo stato di fatto nasce negli anni ’60, con la legge Belci.
L’on. Corrado Belci accompagnò al sua proposta di legge con due ponderose relazioni scientifiche, la prima dei
professori. Mezzena e Poldini, botanici, l’altra del prof. D’Ambrosi, geologo. Le lettura di
questi documenti è ancora facilmente possibile sia consultando on line gli atti
parlamentari che gli atti dei Civici Musei. Le due relazioni hanno pesi e
approfondimenti diversi e dimostrano che Mezzena e Poldini avevano una conoscenza
del territorio della provincia di Trieste più approfondita di quelle del prof.
D’Ambrosi. Senza che questo suoni come una critica ad un grande geologo . Ecco quindi
che l’estensione delle zone da proteggere furono dettate fondamentalmente da esigenze
botaniche, anche se il Prof. D’Ambrosi
suggerì l’inclusione di alcuni settori, non indicati da Mezzena e
Polidni, ad esempio l’area dei torrioni di Monrupino, ma nelle stesura
definitiva approvata dal Parlamento..questo
suggerimento viene lasciato cadere.
Passano gli anni e le
varie SIC e ZPS rispondono alle normative europee, sorgono le
riserve regionali, La Val Rosandra, Doberdò, Lanaro e monte Orsario. E di
nuovo continua la divaricazione tra
protezione e valorizzazione del Carso, inteso come contenitore di flora e fauna,
mentre ben poco viene fatto soprattutto
per le morfologie carsiche epigee.
Diversa la situazione per le
cavità carsiche, che risultano protette anche come bene archeologico e
paesaggistico sia in quanto abitate dai chirotteri, anche se sono frequenti le
segnalazioni di cavità carsiche distrutte e soprattutto utilizzate come
discariche. Anche recentemente c’è stata una fiammata di interesse che ha avuto manifestazione su
vari giornali, anche a carattere nazionale.
Ma vorrei riportare l’attenzione
sulle morfologie superficiali: doline, campi solcati, kamenitze, grize,
torrioni residuali. Grize e campi solcati che hanno da un punto di vista
geomorfologico significato completamente diversi, e anche diversa valenza estetica, vengono accumunati
in un unico habitat i “pavimenti calcarei”.
Le kamenitze vengo associate e catalogate insieme ad altre raccolte d’acqua nel catasto
degli stagni. In questo elenco è stata
introdotta una categorie siglata “VDA”
ovvero “invasi naturali formati da carsismo di superficie adattati dall’uomo
con utilizzo di calcestruzzo o altro materiale da costruzione” Di VDA sul Carso
triestino e monfalconese ce ne sono 105
!! Accetterebbe un botanico un’aiuola di
ortensie in mezzo alla landa carsica…??
Se la gestione di un territorio
carsico è intesa come gestione delle risorse
agricole, come equilibrio tra esigenze naturalistiche ed esigenze produttive, i
geologi hanno poca voce in capitolo. Ma gestione del territorio carsico
significa anche turismo e il territorio va valorizzato nei suoi aspetti fisici e geomorfologici. E soprattutto non
dimentichiamo che il Carso è un volume tridimensionale, con la sua superficie
topografica, un suo interno, una massa rocciosa carsificata, un livello di base
che sostiene un acquifero, alimentato dalle acque che lo attraversano. La protezione
e le valorizzazione di questo Carso in 3 D, coinvolge certamente la
biodiversità, ma anche il paesaggio, i geositi, la gestione transfrontaliera
delle acque. E su questi temi i geologi possono e vogliono dire la loro.
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