Chi di voi non si ricorda questo ritornello:"Ci son due coccodrilli ed un orangotango, due piccoli serpenti, un'aquila reale; il gatto, il topo, l'elefante non manca più nessuno: solo non si vedono i due liocorni".
So che mi starete maledendo perché sapete che queste parole ritmate risuoneranno nella vostra testa per tutta la giornata e, per contrappasso, rimbomberanno anche nella mia. Tutto ciò per farvi comprendere come io possa essere sopraffatto da un verso chiaro e ripetitivo, lo stesso verso che fece impazzire Orlando nel noto poema di Ludovico Ariosto e che causò l'inizio della prima guerra mondiale. Secondo la nota storica della prima guerra mondiale Tommi Frassinelli (mio cane femmina che mi ha messo la pulce nell'orecchio) il 28 giugno 1914 alle ore 10.00 il rivoluzionario serbo Gavrilo Princip stava osservando molto tranquillo e sereno, anche se aveva in tasca una pistola semi automatica, il passaggio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo a Sarajevo. D'altro canto siamo figli del cinema americano e dunque fucile e pistola, signora in giallo a parte, sono le dotazioni d'ordinanza di un qualsiasi cittadino comune che voglia emergere e magari essere protagonista di un servizio del noto telegiornale "Studio Aperto"; il giovane Gavrilo al passaggio dell'arciduca e della moglie Sofia li fredda con due colpi: ma a chi erano rivolti realmente quei due colpi micidiali che uccisero l'erede al trono d'Austria-Ungheria? Galeotto fu, poi lo fu anche Princip, un Codirosso maschio (Phoenicurus phoenicurus). Secondo la storica citata, sopra la finestra di Gavrilo si trovava un nido di un Codirosso comune padre che, dopo la schiusa delle uova, inizia ripetere ben 560 milioni di volte al giorno (ridotti dai precedenti 750 milioni da una sentenza dello stormo di appello migrante) un richiamo che secondo orecchie esperte (Dumbo docet) si palesa come un: "whee-tik". Questo richiamo, che il volatile dal petto rosso ripete da mattina a notte inoltrata e che si prolunga nei sogni di chi lo ascolta, serve per delimitare il proprio territorio e per mantenere un contatto fonico con i piccoli nel nido. Onore al merito il suo aiutare la femmina a nutrire i piccoli affamati, ma quel verso inizialmente ti fa relazionare con il volatile e ti mette in relazione con l'universo mondo: di colpo però, dopo tre o quattro giorni in cui il carro di Apollo lambisce i colmi dei tetti delle case e dunque le finestre di casa sono aperte dì e notte, senti provenire da tutto il tuo sistema nervoso un'olistica e mesta supplica di un minuto di silenzio, di una sospensione di quel rituale ornitologicamente libidinoso. Ho iniziato a dare un nome al portatore sano di ali (l'ho chiamato Rompi di nome, Palle di cognome) e gli parlo sperando che la mia loquela lo stoppi anche solo un secondino (in prigione ci saranno Codirossi?): inizio raccontandogli i fatti tragici della mia vita per poi passare a ripetergli a memoria e in greco antico il primo libro dell'Iliade; niente da fare: il figlio di un uovo, come una cetra impazzita, ritma i miei esametri che come frecce spuntate cercano di fermare quel suo perentorio:"whee-tik". Non stanco della battaglia contro il sonoro piumato, accendo la radio e metto a tutto volume Radio Maria, confidando che Rompi si ricordi di quando nel 1200 i suoi antenati venivano ipnotizzati e calmati dal patrono d'Italia: mentre una suora stonata intona una supplica al creatore del mondo, io recito tutto il Laudes Creaturarum. I miei vicini di casa attendono che io esca dalla porta con un saio e le stimmate, il mio cane ha già fatto richiesta di residenza a Gubbio, mio fratello immagina già come investire la mia parte di eredità, ma Rompi saltella felice e ripete:"whee-tik", "whee-tik". Ormai pronto a varcare gli Appennini per raggiungere i miei confratelli ad Assisi, un nome inizia a insinuarsi tra le mie corde vocali, un nome che sale fino a scontrarsi contro i miei denti e di colpo gli astanti percepiscono un suono preciso e scandito:"Paolo aiuto". "Paolo chi?" si interroga il mio vicino sordo: Paolo di Tarso, Paolo VI, Paolo Bonolis? Prima di stramazzare a terra il mio apparato fonatorio emette un ultimo gemito:"Paolo Utmar, libera nos Codirosso". Prima di incontrare questo noto ornitologo triestino, la mia vita era impermeabile ai volatili che entravano in contatto con me solo attraverso le mie fauci, ma da quando ho conosciuto l'uccellologo per eccellenza, uomo che subisce le mie battute e i miei doppi sensi, cinguettii,versi e nidi sono entrati a far parte del mio microcosmo.
A Paolo chiaramente e al suo mondo piumato dedicherò un articolo a metà settimana. All'interno di questi miei scritti che, fidatevi, vi stanno conducendo a San Pietro dei Nembi, farò dei cammei dedicati alle guide che hanno scandito la nostra vita sull'isola. A modo mio chiaramente e senza colpo ferire: sopporterete ancora le mie battute (bat-tute: tute di Batman) e i miei voli pindarici?
Ai codirosso l'ardua sentenza.
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