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Il Blog del WWF Friuli Venezia Giulia

mercoledì 9 ottobre 2013

Carso, non solo biodiversità: proteggere e valorizzare le morfologie carsiche epigee




Riserva Naturale del Monte Orsario:
campo solcato alterato per ricavarne uno stagno
di Furio Finocchiaro
Dipartimento di Matematica e  Geoscienze, Università di Trieste

La lettura del materiale che costituirà la base del piano di gestione del Carso è, per un geologo, motivo di tristezza. Non è una sorpresa, ma solamente la conferma che la protezione della natura, in Italia,  è impostata solo ed esclusivamente sulla difesa del biodiversità. 


Geologia, idrogeologia, le forme del paesaggio che raccontano l’interazione, nei tempi geologici tra forze endogene e processi esogeni sono sullo sfondo. Rappresentano certo un substrato che condiziona, insime al microclima e all’azione antropica, lo sviluppo delle diverse associazioni vegetali e delle specie animale che popolano il territorio ed in questa ottica vanno difese. Ma non hanno valore proprio.  E questi principi vengono applicati anche sul Carso triestino, anche su un territorio che deve la sua fama  mondiale ai processi carsici ed alle morfologie che ne derivano, anzi, è il luogo simbolo dove il carsismo è nato, il luogo che da il nome a tutti i Carsi del mondo. E se studiosi americani, russi, cinesi, vengono a vedere il Carso triestino, non vengono certamente a vedere la flora dell’altopiano, vengono a vedere grotte, doline, campi solcati, kamenitze (vaschette di corrosione) !


Certo che a Trieste siamo stati antesignani. Questo stato di fatto nasce negli anni ’60, con la legge Belci. L’on. Corrado Belci accompagnò al sua proposta di legge  con due ponderose relazioni scientifiche,  la prima dei  professori. Mezzena e Poldini, botanici, l’altra del  prof. D’Ambrosi, geologo. Le lettura di questi documenti è ancora facilmente possibile sia consultando on line gli atti parlamentari che gli atti dei Civici Musei. Le due relazioni hanno pesi e approfondimenti diversi e dimostrano che Mezzena e Poldini avevano una conoscenza del territorio della provincia di Trieste più approfondita di quelle del prof. D’Ambrosi. Senza che questo suoni come una critica ad un grande geologo . Ecco quindi che l’estensione delle zone da proteggere furono dettate fondamentalmente da esigenze botaniche, anche se il Prof. D’Ambrosi  suggerì l’inclusione di alcuni settori, non indicati da Mezzena e Polidni, ad esempio l’area dei torrioni di Monrupino, ma nelle stesura definitiva  approvata dal Parlamento..questo suggerimento viene lasciato cadere.

Passano gli anni e le varie  SIC e ZPS  rispondono alle normative europee, sorgono le riserve regionali, La Val Rosandra, Doberdò, Lanaro e monte Orsario. E di nuovo  continua la divaricazione tra protezione e valorizzazione del Carso, inteso come contenitore di flora e fauna,   mentre ben poco viene fatto soprattutto per le morfologie carsiche epigee.

Diversa la situazione per le cavità carsiche, che risultano protette anche come bene archeologico e paesaggistico sia in quanto abitate dai chirotteri, anche se sono frequenti le segnalazioni di cavità carsiche distrutte e soprattutto utilizzate come discariche. Anche recentemente c’è stata una fiammata  di interesse che ha avuto manifestazione su vari giornali, anche a carattere nazionale.


Ma vorrei riportare l’attenzione sulle morfologie superficiali: doline, campi solcati, kamenitze, grize, torrioni residuali. Grize e campi solcati che hanno da un punto di vista geomorfologico significato completamente diversi, e anche  diversa valenza estetica, vengono accumunati in un unico habitat i “pavimenti calcarei”.  Le kamenitze vengo associate e catalogate  insieme ad altre raccolte d’acqua nel catasto degli stagni. In questo elenco  è stata introdotta  una categorie siglata “VDA” ovvero “invasi naturali formati da carsismo di superficie adattati dall’uomo con utilizzo di calcestruzzo o altro materiale da costruzione” Di VDA sul Carso triestino e monfalconese  ce ne sono 105 !!  Accetterebbe un botanico un’aiuola di ortensie in mezzo alla landa carsica…??


Se la gestione di un territorio carsico  è intesa come gestione delle risorse agricole, come equilibrio tra esigenze naturalistiche ed esigenze produttive, i geologi hanno poca voce in capitolo. Ma gestione del territorio carsico significa anche turismo e il territorio va valorizzato  nei suoi aspetti fisici  e geomorfologici. E soprattutto non dimentichiamo che il Carso è un volume tridimensionale, con la sua superficie topografica, un suo interno, una massa rocciosa carsificata, un livello di base che sostiene un acquifero, alimentato dalle acque che lo attraversano. La protezione e le valorizzazione di questo Carso in 3 D, coinvolge certamente la biodiversità, ma anche il paesaggio, i geositi, la gestione transfrontaliera delle acque. E su questi temi i geologi possono e vogliono dire la loro.

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