Non dovremmo però dimenticarci che molto di questo dolore e
questa distruzione poteva essere evitato; non ovviamente prevedendo con
precisione il giorno, il luogo e la forza del terremoto ma, più semplicemente,
prendendo atto che viviamo in un paese ad altissimo rischio sismico.
Manca un serio progetto di prevenzione, i cui costi
economici (va detto subito) sarebbero di gran lunga inferiori ai costi di ricostruzione,
riparazione e gestione dell’emergenza (per non considerare i costi sociali
legati alla perdita delle vite umane, alla disgregazione delle famiglie e delle
comunità).
Le conoscenze tecniche e professionali ci sono; esistono già
apparti normativi tra i più raffinati al mondo, in particolare per le strutture
esistenti di valore storico e architettonico (ad esempio la Direttiva del
Consiglio dei Ministri 9 febbraio 2011 sulla Valutazione del rischio sismico del patrimonio culturale). Esistono
studi e ricerche sui modi in cui migliorare la resistenza degli edifici,
riducendo l’impatto sulla costruzione esistente.
Perché non mettiamo in atto (Stato, Regioni, Comuni e con il
supporto delle Università e dei Centri di ricerca) un serio programma di manutenzione
e miglioramento sismico del patrimonio esistente?
Le basi teoriche ci sono: già negli anni ’70, Giovanni
Urbani, da direttore dell’Istituto Centrale del Restauro, aveva avviato
ricerche finalizzate ad una nuova impostazione dell’attività di conservazione
del patrimonio fondata sul concetto di Manutenzione
programmata. E’ del 1973 il Piano
pilota per la conservazione programmata dei beni culturali in Umbria e, degli
anni successivi, la ricerca sulla Protezione
del patrimonio monumentale dal rischio sismico.
Queste furono le basi teoriche da cui prese il via la
redazione della Carta del Rischio del
patrimonio italiano, recepita però solo parzialmente ed episodicamente.
Vanno assolutamente ripresi per mano questi strumenti e va
assegnato loro, al più presto, il respiro operativo che non gli abbiamo mai
voluto dare.
Non credo valga la pena soffermarsi sui vantaggi economici e
lavorativi che il territorio del paese potrebbe avere dall’attuazione di una
simile politica; appare fin troppo evidente.
Prof. Arch. Andrea Benedetti, Comitato Scientifico WWF Trieste
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