Da valle al mare
… percorso da sempre fatto dai corsi d'acqua e per me incentivato da GPL …
“Qui Fiera di Primiero (TN) a voi Trieste” potrebbe essere l'incipit di un collegamento radiofonico ipotetico tra voi e me; collegamento che si protrarrà, se mi sopporterete, per un tempo indeterminato.
Nessuna invasione di un extracorpo trentino ma solo un inizio di un qualcosa che spero potrebbe essere sia per voi che per me una sorta di ponte ipotetico che parte dall'estremo sud-est del Trentino: ha un suo pilone a Trieste e ha il suo naturale approdo a San Pietro dei Nembi in Croazia. Tranquilli: nessun abuso edilizio o ponte sullo stretto solo una corrispondenza di sensibilità ed esperienze che mi ha portato a chiedere l'adesione al vostro gruppo.
Tutto nasce da un ipotricotico homo patavinus che risulta all'anagrafe dei geografi come Francesco Vallerani e il suo laboratorio cafoscarino che dal quattro all'otto aprile 2011 ci ha portati a scoprire il microcosmo di San Pietro.
Per un montanaro come me prendere un catamarano e arrivare su un'isola lontana è complicato da un punto di vista mentale: non sono un amante delle valli chiuse ma, per chi è nato in montagna, le alte Pale di San Martino o le vette feltrine sono una garanzia o, come direbbe Franco Battiato, un “centro di gravità permanente”. Non parlo di uno spaesamento ma di un cambio repentino: parte il catamarano, si vede il porto di Fiume, sorta di museo a cielo aperto di un'archeologia postindustriale; e poi acqua, il rumore del motore e immagini della televisione croata. Questo ambiente visuale e sonoro mi richiama tra le braccia di Morfeo su dei sedili in cui si sprofonda; il motore disegna uno scia bianca nell'acqua che,come in un quadro di Monet, sfuma all'orizzonte, staccandoci definitivamente dalla terraferma. Quella scia, cordone ombelicale con il continente, prima era ammucchiata, poi lasca, poi tesa, sempre più tesa, troppo tesa e di colpo, mentre dormo e sogno di giocare con il mio cane, tutto si spezza silenziosamente. Il mio cane abbaia perché non lo aiuto a scovare una lucertola nascosta sotto un vaso di fiori e di colpo mi sveglio con la bocca asciutta e sulla pelle la percezione di qualcosa di diverso, un'aria che non ha nulla a che fare con l'aria delle Alpi e Prealpi. Non è chiaramente la prima volta che vedo il mare, che ci navigo, ma la percezione è diversa: quando c'è la prima fermata del natante, esco sulla prua e vengo inglobato da un'aria salsa e e da un vento che mi inglobano. I miei compagni di avventura fotografano il circostante ma io resto intontito, come se mi fossi scontrato contro una barriera invisibile, facendo entrare a far parte del mio corpo i miei necessari occhiali.
Solo chi ha gli occhiali può capire questa sensazione che di solito si prova contro una porta a vetri imprevista e non ad apertura automatica; sono quelle belle porte di vetro spesso che si aprono ancora sulle loro cerniere: di solito sono bardate con cartelli (locandine, orari di apertura o chiusura, segnalazioni sulle modalità di apertura). Accade però il giorno in cui, il titolare di quella porta decide di pulirla da entrambe le parti, staccando qualsiasi segnale di esistenza in vita del vetro ed è lì che tamponi. Cammini pensando ai massimi sistemi con passo da alpino e il naso e poi il nasello degli occhiali si infrangono contro quella barriera vitrea inaspettata e il dolore ti entra nel profondo, scuote perfino il taglio cesareo di tua madre, come fosse il dolore più forte che hai mai provato da -9 mesi fino a quel momento. Questo è il momento in cui il genius loci italico ti fa inventare nuovi tipi di imprecazioni che prima o poi verranno accettate dall'Accademia della Crusca, se non altro per il rispetto per il dolore di un italofono. Tutto resta però inespresso, anche se rimbomba in tutti gli interstizi del corpo. Il dolore è tutto scaturito dal nasello degli occhiali (ponte di comunicazione tra le lenti): se ti controllassero il setto nasale, troverebbero delle cellule spirate per l'evento. Tutti ti guardano ma tu trattieni apparato muscolare e respiratorio, apri la porta e fai ciò che avevi intenzione di fare prima del crash test: gira la testa ma non si vuole che nessuno , neppure un granellino di povere, ti chieda se ti sei fatto male. In quel momento, anche se stessi per crepare, risponderesti comunque negativamente: tutto va bene, per definizione.
È un postulato matematico: “se mi faccio male in pubblico, non posso far vedere il dolore e devo continuare a vivere come niente fosse”.
Tutta questa menata per farvi capire la mia percezione del cambio di ambiente circostante: un dolore che intontisce e ti lascia senza parole …
Tranquilli: per oggi termino qui … l'esperienza è stata, per quel che mi riguarda, così “terremotante”, che non si può condensare in poche parole e poi, tara mentale, sono un insegnante di lettere e regista teatrale, dunque … coraggio …
… a presto ...
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