Nel video, Vandana Shiva sull'Expo all'Università degli Studi di Milano
Sabato
scorso
Vandana Shiva
è intervenuta all’Expo
2015 per presentare il manifesto
Terra Viva.
La presentazione si è svolta
nella Cascina Triulza, il padiglione della società civile, dove associazioni e
organizzazioni internazionali e nazionali possono presentare il proprio punto
di vista sulla sostenibilità.
‘Terra Viva’ è un documento di analisi e
di denuncia, ma soprattutto di proposta su come superare il paradigma
dell’economia lineare estrattiva in favore di quella circolare rigenerativa,
per guidare non solo la gestione dell’ambiente e dell’agricoltura, ma tutte le
scelte economiche e sociali. Il manifesto Terra Viva è frutto del lavoro e
dell’elaborazione, guidata
dall’ambientalista Vandana Shiva, di un team di ricercatori ed esperti
provenienti da tutto il mondo.
Nel
suo intervento, Vandana Shiva ha ribadito la necessità di tornare all’agricoltura
familiare, l’unica che può produrre più cibo e cancellare povertà e
ingiustizia.
“L’economia, che è parte della società, è
stata posta al di sopra della società, al di fuori del controllo democratico
-- commenta Vandana Shiva -- Il benessere
delle persone e delle comunità è stato sostituito dal benessere delle
multinazionali, mentre la produzione reale è stata rimpiazzata dall’astratta
moltiplicazione del capitale. Il risultato è la scomparsa della democrazia e
l’aumento degli squilibri economici. C’è bisogno di un nuovo patto che
riconosca che noi siamo il suolo: veniamo dal suolo, siamo sostenuti dal suolo.
Prendersi cura della terra è il lavoro più importante che gli agricoltori
possano fare. Il messaggio che lanciamo dall’importante vetrina di Expo è forte e chiaro: la nuova democrazia è la democrazia della Terra
”.
Il
manifesto Terra Viva: QUI
Segnaliamo anche il suo articolo Le multinazionali vengono all'Expo per nutrire se stesse, non il Pianeta
Di
seguito pubblichiamo integralmente il documento introduttivo al manifesto:
La corsa al suolo
Il
processo di consumo del suolo è devastante e sta subendo un’accelerazione
drammatica. Negli ultimi due secoli il cambiamento dell’uso dei suoli ha
trasformato la biosfera producendo il 20% delle emissioni di anidride carbonica
e la scomparsa o la conversione ad altri usi del 70% delle praterie, del 50%
delle savane, del 45% delle foreste temperate decidue, del 27% del bioma delle
foreste tropicali. Entro il 2030 è prevista una crescita dell’area urbana pari
a 1,2 milioni di chilometri quadrati: si tratta di una superficie equivalente a
quella del Sudafrica, 3 volte quella urbanizzata nel 2000.
L’incontrollata
espansione dell’area antropizzata riduce la quantità di terreno fertile a
disposizione dell’umanità, con conseguenze che stanno diventando sempre più
gravi. Un ettaro di suolo contiene 15 tonnellate di organismi viventi: 1,5
chili per metro quadro. E’ un dato che non andrebbe sottovalutato perché nel
suo insieme il suolo conserva una quantità di carbonio molto superiore rispetto
all’atmosfera e indebolire la sua vitalità significa minacciare la stabilità
climatica. Eppure negli ultimi decenni è stato di fatto ignorato: il suolo
fertile è stato eroso a una velocità tra le 10 e le 40 volte superiore alla
capacità di rigenerazione. Perdiamo 24 miliardi di tonnellate di humus - il
suolo fertile - all’anno e per ricostruirne uno strato da 2,5 centimetri ci
vogliono circa 5 secoli.
Il
ventesimo secolo è stato dominato da un modello di agricoltura industriale
derivato da tecnologie chimiche nate a fini bellici e centrato sui prodotti
chimici e sui combustibili fossili. Quell’agricoltura è responsabile della
perdita del 75% dell’acqua, del suolo e della biodiversità, è uno dei
principali responsabili dell’effetto serra e dell’aumento della disoccupazione.
E’ un sistema che non mira alla produzione di alimenti ma alla produzione di
commodities, con l’80% dei cereali che viene trasformato in biofuel o mangimi
per l’allevamento.
Land grabbing
La
dimensione dei terreni abbandonati a causa dell’uso insostenibile è uguale alla
somma della superficie degli Stati Uniti e del Canada (2 miliardi di ettari) ed
è maggiore della superficie globale attualmente occupata dall’agricoltura.
Milioni di ettari di terra fertile che in tutto il mondo permettono la
sussistenza di intere comunità stanno cadendo sotto il dominio delle
multinazionali e di alcuni Stati che cercano al di fuori dei propri confini le
risorse non più disponibili al loro interno.
E’ uno scenario che ripete in maniera drammatica una pagina nota della
storia. Tra il 1770 e il 1830 il Parlamento inglese votò 3.280 norme (gli
enclosures acts) per legittimare le privatizzazioni di terre che fino a quel
momento erano state gestite dalle comunità: 2,4
milioni di ettari di campi, paludi, boschi vennero recintati e
trasformati in beni a disposizione di pochi.
Oggi
le multinazionali, supportate dai sussidi pubblici si stanno impossessando delle
terre dei piccoli coltivatori (che a livello globale producono il 70% degli
alimenti che consumiamo) causando una nuova ondata di massicce spoliazioni di
poveri.
Aumentano i conflitti
sociali e le guerre
La
connessione tra danni ambientali da una parte e squilibri sociali e conflitti
dall’altra è allarmante. La percentuale di ricchezza posseduta dall’1% più
abbiente della popolazione mondiale è passata dal 44% del 2009 al 48% del 2014.
Il patrimonio delle 300 persone più ricche vale 524 miliardi di dollari, più
della somma del Pil dei 29 Paesi più poveri. E quello delle 85 persone più
ricche è uguale a quello di 3,5 miliardi di persone.
Inoltre,
secondo i dati elaborati della Convenzione per la lotta contro la
desertificazione analizzando un periodo di 60 anni, il 40% dei confitti
all’interno degli Stati è collegato a una tensione nata dal controllo delle
risorse naturali e della terra. E nel 2007 l’80% dei maggiori conflitti armati
è avvenuto in ecosistemi resi vulnerabili dalla carenza di acqua. Ad esempio
prima dell’esplosione delle tensioni in Siria, nel 2011, il Paese aveva subito
una siccità estremamente severa e prolungata e la perdita dei raccolti. Anche
il movimento estremista di Boko Haram si è sviluppato in un’area di forte crisi
ecologica, nella zona del lago Chad, ridotto all’ombra di quello che era: in
molte zone del Nord della Nigeria i pastori musulmani sono in competizione con
gli agricoltori cristiani per il controllo delle sempre più scarse risorse
idriche. Uno scenario analogo a quello del Mali e del Sudan.
Una nuova agricoltura
per il clima e la pace
Come
abbiamo visto i segnali di allarme si moltiplicano. Ma esiste la possibilità di
scegliere un’altra strada: quella basata sulla cittadinanza globale e sulla
condivisione delle risorse, abbandonando la logica dello sfruttamento
progressivo a favore dello sviluppo circolare fondato sulla rigenerazione delle
risorse.
Secondo
l’Unccd (la Convenzione per la lotta contro la desertificazione), è possibile
recuperare 2 miliardi di ettari di terreno degradato: un’operazione che
comporterebbe l’assorbimento di 3 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno,
il 30% del carbonio emesso bruciando combustibili fossili. La conversione verso
l’agricoltura organica è la strada maestra per combattere l’erosione e
l’impoverimento del suolo.
E’
una svolta necessaria e urgente. Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2015
“Anno internazionale dei suoli” per rendere tutti consapevoli del ruolo
cruciale che i suoli giocano nella sicurezza alimentare, nella lotta contro il
cambiamento climatico, nei servizi ecosistemici essenziali, negli sforzi per
ridurre la povertà e incentivare lo sviluppo sostenibile.
La
nuova agricoltura, che si sviluppa nel Pianeta attorno al ruolo centrale delle
donne, dà un contributo essenziale in questa direzione perché rovescia lo
schema degli ultimi decenni: invece di essere un assorbitore di energia la
produce, invece di contribuire alla crescita dell’effetto serra la frena.
L’agricoltura biologica ha la possibilità di catturare ogni anno 2 tonnellate
di CO2 per ettaro: è una formidabile arma per centrare l’obiettivo del
contenimento della temperatura entro i 2 gradi di aumento.
La democrazia della
Terra
La
vita e la sua vitalità in natura come nella società è basata su cicli di
rinnovamento e rigenerazione reciproca, di rispetto e solidarietà. Il rapporto tra il suolo e la società
dovrebbe essere basato sulla reciprocità, sulla Legge del Ritorno, del dare
indietro. Il modello agricolo industriale ha completamente disatteso questo
modello. Una nuova agricoltura fondata sul rispetto del suolo è la premessa
fondamentale per passare dal paradigma dell’economia lineare estrattiva in
favore di quella circolare rigenerativa. Da questa nuova agricoltura può
generarsi una nuova economia e una nuova democrazia.
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