In occasione del suo compleanno, pubblichiamo un
articolo di Fulco Pratesi
Dal ‘Corriere della sera’
L'ESTATE IN CAMPAGNA NOSTALGIA DELLE
RONDINI
di FULCO PRATESI
‘Quelle che ancor ne avanzano/ ore fugaci e meste / belle le renda e amabili /
la libertade agreste’.
Non aveva torto, il Parini, quando cantava le gioie della vita rustica negli anni della vecchiaia. Anche
se, devo confessarlo, nella campagna
dell'Alto Lazio, che conosco fin da bambino, i mutamenti indotti dai cambiamenti climatici, che stanno sconvolgendo i ritmi millenari della natura, mi preoccupano non poco. I segnali più evidenti, sopratutto dopo una primavera /estate del tutto anomala, me li hanno inviati gli uccelli.
È divenuto raro infatti udire di notte il richiamo ripetuto dell'assiolo (il chiù della nostra infanzia) quello flautato dell'allocco o quello aspro della civetta. E gli eleganti picchi muratori che l'estate scorsa accorrevano alla mangiatoia, ghiotti di semi di girasole, non si sono ancora fatti vedere. Ma
la perdita più dolorosa da me
registrata è stata quella delle
rondini.
Come molti altri
insettivori migratori provenienti
dall'Africa, le rondinelle che
costruivano i loro commoventi nidi nel porticato di casa mia, da alcuni anni non sono più tornate e le loro minuscole costruzioni di fango sono rimaste desolatamente vuote. Da una di esse, nei giorni scorsi, si affacciava prudente un piccolo pigliamosche che, in assenza dei primitivi proprietari, l'aveva occupata.
Che le cause del declino siano legate ai cambiamenti climatici, all'uso crescente di insetticidi, o alle stragi perpetrate nei paesi africani dove esse passano l'inverno, è difficile poterlo dire, anche se gli effetti sono sempre più evidenti e sconfortanti. Oltre a quella delle rondini, la rarefazione di altri insettivori, come le averle, i rondoni e i balestrucci, è stata
solo a malapena compensata dall'incremento
dei coloratissimi gruccioni, uccelli di provenienza africana, che l'innalzamento delle temperature degli ultimi decenni ha reso più comuni. Farfalle un tempo abbondanti come il macaone o la vanessa atalanta e i melodiosi grilli campestri, sono divenuti ormai rari, mentre resistono le cicale sugli alberi e le piccole cavallette dalle ali celesti e rosse (che qui chiamano «saltapicchi») nei prati aridi fioriti di gialli iperici, bianche carote selvatiche e cicorie azzurre. Qua e là nelle stoppie, le corolle violablu delle speronelle selvagge e i tirsi dorati dei verbaschi.
In agricoltura i frequenti parossismi
climatici che alternano giornate torride, tali da inaridire di colpo le more sui roveti, a lunghi inaspettati periodi di piogge, basse temperature e improvvise grandinate scombinano i cicli naturali delle colture, intensificando i danni alle vigne e ai frutteti, sempre più esposti agli attacchi dei parassiti. Di conseguenza, ai problemi derivanti dagli eccessi meteorologici si sommano quelli provocati da un uso crescente di
fitofarmaci, anch'essi responsabili
in maniera massiccia di squilibri
nel sempre più precario mondo della natura e della fauna selvatica.
Mi
confortano ancora, nelle terre che
mi hanno visto bambino, i canti
mattutini del gallo, il belato delle pecore al pascolo nei medicai, lo starnazzare delle oche, il tubare dei colombi, e l'abbaiare dei cani che sentono l'usta dei cinghiali attorno al noccioleto.
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